Un serpente bianco e grigio di minivan attorcigliato alla collina. Centinaia di uomini, donne e bambini ammassati contro una rete di filo spinato. dal reportage di Nancy Porsia/Ugo Lucio Borga

Oltre il confine siriano ci sono i profughi. In questo momento la possibilità di essere utili per il popolo siriano in fuga si gioca tutta nei campi per rifugiati in Giordania e in Libano.
Agire ha messo in contatto i blogger dell’iniziativa Bloggerperagire con Davide Berruti, capo missione Intersos in Giordania, che gentilmente è rimasto con noi per più di mezz’ora su Skype a raccontarci della situazione nel campo di Za’atari, a nord del paese. Davide non si è tirato indietro neanche davanti alle domande più “critiche”, come quelle che mi ha ispirato la lettura dei reportage di Linda Polman dalle zone di guerra più “aiutate” dell’Africa, assemblati poi nel libro L’industria della Solidarietà.
Come ha ben spiegato Berruti durante la Skype call, “il rischio che gli aiuti umanitari possano facilitare le attività belliche è inversamente proporzionale agli standard di protezione che vengono assicurati. Quando un campo, come quello di Za’atari, è a debita distanza dal confine e c’è piena cooperazione tra gli operatori in campo, direi che il rischio è quasi improbabile. Anche perché esiste un sistema di protezione di entrata/uscita dal campo.”
È facile cogliere la disperazione negli occhi di chi, in poche ore, è stato costretto ad abbandonare la propria casa e i pochi averi per fuggire in un paese straniero seppur vicino. Sono fuggiti a piedi con quanto avevano indosso e le poche cose che riuscivano a trasportare, hanno camminato per quasi otto ore sulle vicine colline siriane per poi raggiungere attraverso i campi il Libano (fonte: Agire)

In questo caso come si può non intervenire? Immaginate di dover lasciare casa vostra, all’improvviso, senza poter portare nulla con voi. Questa è il quadro che descrive Davide: “Dal punto di vista materiale hanno bisogno di qualsiasi cosa, di supporto totale. Dal punto di vista psicologico è più complesso, dipende da quale zona della Siria arrivano e da quello che hanno subito. Alcune persone sono scappate letteralmente dai bombardamenti, altri purtroppo coinvolti in violenze, arrivano in condizioni traumatiche, estremamente drammatiche e hanno bisogno di forte sostegno psicologico. […] Chi è qui non è preoccupato solo del proprio futuro ma anche per chi hanno lasciato in Siria.”
Ho scritto questo post perché forse non ci rendiamo conto che l’emergenza del popolo siriano non finisce perché cala l’attenzione dei media. Nei campi profughi si lavora ogni giorno per accogliere migliaia di persone, solo 30mila a Za’atri. Preoccupa l’arrivo del periodo invernale, con temperature che oscillano tra i 2 e i 12 gradi, perché l’aumento del prezzo del petrolio e la sua scarsa reperibilità renderanno impossibile riscaldare questi luoghi, che ospitano decine di migliaia di persone. E purtroppo, tra le conseguenze del conflitto c’è anche una grave crisi alimentare, dovuta all’abbandono dei terreni ormai insicuri e al protrarsi della siccità, che mette a rischio fame 3 milioni di persone.
PER SAPERNE DI PIU’:
Tutta l’intervista a Davide Berruti si può leggere su Agire.it e qui puoi aderire all’appello della rete di ONG che si trova tra Libano e Giordania per prestare accoglienza ai civili, in particolar modo donne e bambini.
In più, permettimi di segnalare uno splendido reportage in 3 puntate di Ugo Lucio Borga e Nancy Porsia pubblicato su VpS. Lo trovi qui.
Disclaimer: Questo post si inserisce all’interno del progetto BloggaperAGIRE, un’ iniziativa di comunicazione e raccolta fondi ideata da AGIREonlus per dar voce alle emergenze umanitarie. I contenuti del post non hanno nessuno scopo politico. Il lavoro delle ONG di AGIRE è slegato da qualunque agenda politica e avviene nel rispetto assoluto dei tre principi umanitari fondamentali di neutralità, imparzialità e indipendenza.